mercoledì 9 marzo 2016

In Italia braccia restituite all’agricoltura

C’era una volta l’immagine di campagne vuote, spopolate e in stato di abbandono, un lavoro faticoso, antiquato e che rendeva poco, con i giovani che correvano numerosi verso le grandi città ricche di possibilità e lavoro. Bene, oggi questo fenomeno è in controtendenza, merito dell’agroalimentare Made in Italy che va forte sia da noi che nel resto del mondo, e spinge sempre più persone in cerca di occupazione a sfruttare le risorse della terra utilizzando strumenti nuovi e guardando al futuro ripopolando le campagne.
Gli incentivi
Merito anche del Ministero delle Politiche Agricole, che con massicci investimenti sta spingendo nella direzione giusta stanziando a breve ben 160 milioni di euro a favore dell’imprenditoria giovanile, desiderosa di investire sulla terra. 20 Mln per finanziare start up nel settore agricolo, agroalimentare e pesca, altri 80 per mutui a tasso zero a copertura di investimenti fatti in azienda, un bando da 70, infine, per mutui a tasso agevolato per comprare imprese agricole da parte dei ragazzi che vogliono tentare l’avventura lontano dalle città.
A loro supporto i giovani di Coldiretti hanno messo in piedi una apposita task force che opera anche a livello territoriale per sostenere chi vuole intraprendere questa nuova strada con tutte le informazioni preziose, e hanno anche creato figure come tutor, corsi di formazione e consigli utili per l’accesso al credito. Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti, ha affermato che “abbiamo di fronte una occasione forse irripetibile per sostenere il grande sforzo di rinnovamento dell’agricoltura italiana e per rendere competitive le imprese. L’importanza del dialogo con la pubblica amministrazione, per rendere più agevole e veloce l’accesso alle misure previste dai Piani, è diventato quindi fondamentale”.
I numeri del cambiamento
Sono tante le politiche messe in atto per rilanciare un fenomeno che sta prendendo piede già a partire da che tipo di scuola i nostri adolescenti scelgono.
Il nostro giornale già ha parlato del boom negli ultimi anni di istituti e corsi di laurea che addestrano al cibo e all’accoglienza. Una generazione di cuochi, sommelier, maitre, concierge, agronomi, contadini sta crescendo consapevole che il nostro destino non sia quello di arricchirsi con la grande industria, una via erroneamente percorsa a causa dell’autarchia prima e del boom economico poi, ma cavalcando ciò che sappiamo fare meglio, è cioè sfruttare le risorse che provengono direttamente dal nostro suolo e l’ospitalità che noi italiani sappiamo dare.
Non è sulla quantità che dobbiamo investire, è sulla qualità.
Un rinfrancante +44% di giovani che vogliono sporcarsi le mani e si preparano a farlo negli istituti tecnico-professionali impegnati in questa delicata area del sapere è il segnale che qualcosa si muove in Italia, dopo un decennale immobilismo. Lo hanno capito anche i nostri politici ed imprenditori, che hanno dedicato al food l’Expo milanese del 2015.
In questo settore, in un periodo di crisi, è stata riscontrata nuova occupazione: 35mila posti di lavoro creati nell’arco di un anno, quasi 20mila tra gli under 30 (+12,7%) che alzano la percentuale al 5% delle imprese agricole gestite dai giovani, che in Europa tocca l’8%.
E ce ne saranno migliaia di altri, grazie all’approvazione da parte della Commissione Europea di tutti i Piani di Sviluppo Rurale presentati dall’Italia, interventi rivolti ai giovani agricoltori tra 18 e 40 anni non compiuti che possono giovare fino a 70.000 euro a fondo perduto per iniziare l’attività, oltre a un contributo sugli investimenti aziendali che può arrivare sino al 60%.
Mestieri vecchi e nuovi, tutti con strumenti innovativi
Giovani che si sono lanciati nel campo dell’agroalimentare, impegnati a piazzare con i potenti e moderni mezzi di comunicazione e dell’e-commerce le eccellenze che sforniamo, specializzati nell’offerta turistica e nella cosiddetta “green economy”.
Si sono accorti che il mercato, con l’ingresso dei paesi emergenti, è irrimediabilmente cambiato. Non ha più senso investire nella grande industria, siamo il paese delle piccole e medie imprese, radicate nel territorio e che tutto il mondo ci invidia. Se non fosse per uno Stato così repressivo in termini fiscali, le energie giovani che non trovano spazio per esprimersi già si sarebbero liberate ed avrebbero espresso il loro enorme potenziale.
La politica come al solito giunge in soccorso con allarmante ritardo, ed è così che il Ministero delle Politiche Agricole ha incrementato del 25% per 5 anni gli aiuti che provengono dall’Europa alle aziende trainate dai giovani.
Discorso a parte lo meritano le donne: le statistiche infatti parlano di un +76% nel 2015 di under 34 femmine che hanno scelto di lavorare in agricoltura come imprenditrici o più semplicemente come socie di cooperative. Una crescita tripla rispetto all’universo maschile, sulla basa dei dati forniti dall’Istat. L’incremento, dunque, è sensibilmente rosa e si giova soprattutto della creatività nel reinventarsi un lavoro miscelandolo sapientemente con l’innovazione di questi ultimi anni, modernizzazione che non ha risparmiato il campo agricolo, forse il più arcaico e tradizionalista nell’immaginario collettivo.
Dalle sperimentazioni sono nate infatti frutta e verdura d’eccellenza, cibi sopraffini, bevande nuove, mestieri poco praticati prima come quello della trasformazione aziendale dei prodotti, la vendita diretta dei frutti della terra, le docenze presso le fattorie didattiche (strano ma vero, i nostri bambini spesso hanno visto di più una tigre che una gallina) e gli agriasilo, ma anche come avere cura dell’orto e insegnare a cucinare prodotti freschi provenienti direttamente dalla campagna, praticare l’agricoltura sociale per l’inserimento di disabili, i detenuti e i tossicodipendenti, oppure la manutenzione di parchi, giardini, l’agribenessere e la produzione di energie rinnovabili. Ebbene, il 70% delle imprese under 35 opera in attività come queste.
Una nuova generazione
Decine di migliaia di nuovi contadini, allevatori, pescatori e pastori, gente che rappresenta una vera e propria “new generation” vettrice di crescita del nostro settore agroalimentare per merito di una efficace trasfusione di nuove tecniche ed una acquisizione di modalità produttive che favoriscono l’occupazione.
“C’è un intero esercito di giovani che ha preso in mano un settore considerato vecchio, saturo e inappropriato per immaginare prospettive future e ne ha fatto un mondo di pionieri, rivoluzionari, innovatori e attivisti impegnati nel costruire un mondo migliore per se stessi e per gli altri”. Queste le parole di Maria Letizia Gardoni, delegata dei giovani di Coldiretti che ha sottolineato come “dai campi non viene solo una risposta alla disoccupazione e alla decrescita infelice del Paese, ma anche una speranza alla sconfitta dei nostri coetanei, che sono costretti ad espatriare e a quella di chi a 50 anni si ritrova senza lavoro, senza certezze, ma con una vita già costruita da riposizionare”.
Un antidoto alla cosiddetta “fuga dei cervelli” costantemente in atto in Italia. Giovani laureati che studiano qui e sono costretti ad emigrare altrove per cercar fortuna e mettere in pratica quei saperi assorbiti nelle nostre università.
Chi non si vuole allontanare e non ha avuto in eredità un pezzo di terra, in modo da poter dare continuità all’azienda familiare, è considerato una new entry del settore, gente che ha scommesso e investito sull’agricoltura e magari ha anche in tasca una laurea.
La Coldiretti quantifica in ben la metà i contadini di prima generazione, che hanno preso l’agognato pezzo di carta e si sono trasferiti lontano dalle città. Molti trasmettono nell’attività che svolgono il proprio know-how innovativo e la loro professionalità e i risultati danno loro ragione anche in termini di apprezzamento del nuovo stile di vita decisamente più salutare.
Sempre secondo Coldiretti “le aziende agricole dei giovani possiedono una superficie superiore di oltre il 54% alla media, un fatturato più elevato del 75% della media e il 50% di occupati per azienda in più”.

Un tempo si diceva che tanti ragazzi non erano altro che “braccia rubate all’agricoltura”. Ebbene, quelle braccia stanno tornando nei campi, ma supportate da tante altre qualità.

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