giovedì 28 luglio 2016

Brexit, cosa sarà dell'agricoltura europea?

Lasciare o restare in Europa? Questo è il dubbio a cui il popolo britannico ha risposto nel referendum del 23 giugno 2016: il 48,1% ha votato 'Remain' e il 51,9% ha votato 'Leave'. Grazie a questa scelta il Regno Unito è fuori dall’Unione Europea. Una decisione deflagrante che avrà un forte impatto nell'economia del Paese e di tutto il mondo.
E adesso cosa succederà? Il Regno Unito dovrebbe uscire dall'Ue entro due anni (ci vogliono i negoziati, non è una cosa immediata). In questo momento dopo le dimissioni di David Cameron il nuovo primo ministro britannico è Theresa May, che avrà il compito di gestire l'uscita della Gran Bretagna dall'Ue. La May ha preannunciato però che non chiederà l'attivazione dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona prima di fine anno. Lei vuole colloqui informali con i leader europei prima del prossimo Consiglio Ue del 20 ottobre. David Davis sarà ministro per la Brexit.
Abbiamo chiesto a Mike Knowles, editor di Eurofruit Magazine, di rispondere ad alcune domande per approfondire il tema della Brexit.

Cosa significa la Brexit per l’agricoltura della Gran Bretagna?
"La Brexit diventerà una realtà quando il Regno Unito si appellerà all’articolo 50 e negozierà la sua uscita dall’Ue. L'impatto immediato sul settore agricolo britannico è una forte incertezza: gli agricoltori avranno molte domande senza risposta, fino a che il governo britannico non avrà stabilito una nuova politica agricola per rimpiazzare quella attualmente fissata da Bruxelles, in particolare sull'accesso al mercato globale ed alla fornitura di manodopera. Attualmente ci sono circa 100mila lavoratori stranieri provenienti dall’Ue impiegati nell’industria alimentare britannica, 25mila dei quali hanno un ruolo chiave nel settore ortofrutticolo. Inoltre le organizzazioni di produttori britanniche stanno per perdere circa 40 milioni di euro di fondi europei e se questo investimento non sarà rimpiazzato sono in molti a temere la crescente competizione delle importazioni".
Che impatto avrà la Brexit sull’agricoltura e sul mercato ortofrutticolo europeo?
"Credo che questo dipenda dal tipo di accordi commerciali che il Regno Unito riuscirà ad assicurarsi con le altre nazioni. La Gran Bretagna importa circa il 90% della frutta e il 50% della verdura fresca che consuma. I maggiori fornitori europei sono Spagna, Olanda, Francia, Germania, Irlanda, Belgio e Polonia. Nel 2015 abbiamo importato 5,6 milioni di tonnellate di ortofrutta, per un valore commerciale di 6,8 miliardi di euro. Di questi volumi 2,9 milioni di tonnellate sono arrivati dall’Ue. Certamente questo fabbisogno non cambierà da un giorno all’altro ma le dinamiche di mercato cambieranno - tassi di cambio, termini di scambio, documentazione richiesta, ecc -, creando un panorama diverso per i fornitori europei ed extra-europei.
Soltanto il tempo ci dirà se il Regno Unito diventerà un mercato più o meno attraente. Supponendo che lasci l’Europa, avrà bisogno di nuovi accordi commerciali non solo con i propri partner europei, ma anche con importanti fornitori di ortofrutta fresca d’oltreoceano come Cile, Sud Africa, Turchia, Marocco, Thailandia e Nuova Zelanda. Se non riuscirà a concordare nuovi termini di scambio, la frutta e la verdura importata proveniente da queste nazioni diventerà soggetta alle tariffe stabilite dai regolamenti Wto, rendendo le nostre importazioni più costose e scoraggiando fornitori d’oltreoceano a spedire i propri prodotti verso il Regno Unito.

 Inoltre c’è la complicazione aggiuntiva dei tassi di cambio. Subito dopo il voto britannico, il valore della sterlina è calato in maniera significativa rispetto all’euro, al dollaro statunitense e a diverse altre valute internazionali. Questo rende la vendita di frutta e verdura estera verso il Regno Unito meno profittevole mentre l’esportazione di prodotti agricoli britannici economicamente più vantaggiosa. Vedremo quindi una crescita improvvisa delle esportazioni di ortofrutta dal Regno Unito? Poco probabile, ma potrebbe esserci un incremento nel breve periodo per articoli 'premium'come le varietà di mele club, linee di patate di nicchia e forse anche piccoli frutti. All’estero lo scorso anno abbiamo venduto solo frutta e verdura per un valore di 240 milioni di euro, metà della quale rivolta al mercato irlandese.
In termini di agricoltura europea, al contempo, ci sono molti cambiamenti possibili. Alcune organizzazioni di produttori dell’Europa meridionale - ad esempio Italia, Spagna e Grecia - credono che la Brexit possa rafforzare la propria capacità di negoziazione relativamente alla definizione di una comune politica agricola europea. Ma nel senso contrario una qualunque restrizione imposta sul mercato britannico potrebbe avere un impatto significativamente deleterio sulle prospettive commerciali dei produttori europei che dipendono dal Regno Unito per l’acquisto dei propri prodotti".
 Relativamente all’Italia, come cambierà la situazione?
"Nel breve periodo, come dicevo, i tassi di cambio saranno meno favorevoli per i produttori ed esportatori che vendono in Uk. A più lungo termine uno scenario sconfortante per questi operatori potrebbe essere quello in cui il Regno Unito diventi un mercato di più difficile accesso per i suoi maggiori fornitori come Spagna, Cile e Sud Africa, situazione che comporterebbe unaconcentrazione della pressione su mercati alternativi come Germania e Scandinavia; anche un leggero incremento nelle tariffe o semplicemente documentazione aggiuntiva potrebbe spingere alcuni esportatori spagnoli a rivolgere maggiormente la propria attenzione sull’Europa continentale o far crescere la propria presenza in mercati come il Medio Oriente e l’Asia. Per le aziende italiane che stanno già esplorando queste opportunità emergenti, non dovrebbero esserci problemi; per quante stanno invece vendendo volumi importanti in Uk sarà invece interessante tenere monitorata la situazione".

In qualità di opinion leader nell’ambito del mercato ortofrutticolo europeo, avremmo piacere di chiederti tre idee che possano aiutare l’Italia a dare una nuova forza alla propria agricoltura nazionale.

"A mio avviso, le priorità per i produttori italiani dovrebbero essere:diversificazione dei mercati, crescita del valore dei servizi ed investimenti nelle varietà migliori. Se fai da apripista nei servizi la tua reputazione ti precederà ed importanti mezzi di comunicazione di settore diffonderanno il messaggio. Se hai le varietà migliori, i compratori ti vedranno come un partner importante nel differenziare la loro offerta da quella dei competitor. Infine se dedichi del tempo a costruire contatti in nuovi mercati, le opportunità commerciali che si apriranno all’azienda saranno maggiori".

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