venerdì 15 luglio 2016

Dalla Jatropha energia per gli agricoltori italiani

La Jatropha è una pianta rustica, i cui semi tossici sono usati per produrre biodiesel. Originaria del Messico, è sbarcata in Calabria e molti agricoltori guardano con interesse alle sue potenzialità.
La chiamano 'oro verde del deserto' e oggi molti agricoltori italiani guardano con speranza alla Jatropha per fare quadrare i conti. In un periodo in cui i prezzi di mercato non ripagano i coltivatori per il proprio lavoro, sono molte le aziende agricole che cercano coltivazioni alternative.
Abbiamo già parlato delle potenzialità del bambù gigante e della canapa, ma per chi vive negli areali del Sud Italia una possibilità è la coltivazione della Jatropha.

La Jatropha curcas è un arbusto che può raggiungere i cinque metri di altezza. E' originario del Centro America e fu portato nel resto del mondo durante il diciottesimo secolo dai colonialismo europeo. Oggi si coltiva in India, Africa e anche in Australia.

E' una pianta rustica, che ama i climi caldi e resiste bene agli stress idrici. Anche se in passato è stata coltivata per recintare i terreni, oggi ad interessare gli agricoltori sono i semi, da cui si estrae un olio di ottima qualità, anche se tossico, adatto alla produzione di biodiesel.
Ma della Jatropha non si butta via niente: le foglie vengono lavorate per estrarre composti chimici utili per la produzione di agrofarmaci bio.

Insomma, la Jatropha è una pianta che richiede poche cure, ma i cui usi sono molto vari. "La nostra società produce materiali innovativi a partire dalla Jatropha", spiega ad AgroNotizie Giovanni Venturini Del Greco, ceo diAgrOil.
"Usiamo l'olio per produrre bioplastiche, lubrificanti industriali e biodiesel, anche per gli aerei. Guardiamo poi alla frazione proteica per la produzione dimangimi attraverso la detossificazione, ma anche a impieghi industriali come la produzione di collanti e resine. Estraiamo infine sostanze bioattive per produrre agrofarmaci bio e biorepellenti".

Ma la Jatropha in Italia può essere coltivata? La risposta è sì, anche se ad oggi ci sono solo delle colture sperimentali in Calabria.
Questo arbusto, che fa parte della famiglia delle Euforbiacee, è originario della zona subequatoriale e prospera con temperature che oscillano tra i 25 e i 35 gradi e ha bisogno di pochissima acqua, appena 250 millilitri di pioggia all'anno.
Tuttavia per avere una produzione ottimale servono areali in cui non si scende mai sotto i 14 gradi e in cui cadono almeno 400-600 millilitri d'acqua all'anno.

"La Jatropha si adatta bene al clima calabrese", spiega ad AgroNotizieFrancesco Tassone, agronomo e profondo conoscitore di questo arbusto."Cresce in terreni marginali, altrimenti lasciati incolti, poveri di sostanza organica, sabbiosi, con elevato contenuto salino. Oltre al suo valore energetico la Jatropha è una pianta che può essere usata per contrastare ildissesto idrogeologico e proteggere i terreni a rischio desertificazione".

In Calabria guardano dunque con interesse a questa specie, sia per la produzione di olio che di altri prodotti. "La Jatropha è ideale per la produzione di agrofarmaci bio", spiega ancora Tassone.
"Contiene ben 128 composti tossici che la rendono non commestibile dagli animali. Ma con i dovuti trattamenti queste sostanze possono essere estratte e utilizzate per produrre agrofarmaci totalmente biodegradabili".

Le coltivazioni in Italia sono dunque possibili, ma quali sono costi e rese? Prima di tutto bisogna dire che la Jatropha è ancora una pianta selvatica. I semi in commercio (difficili da reperire sul mercato italiano) non assicuranoproduzioni costanti. La JOil, società di Singapore e partner di AgrOil, sta proprio lavorando sul miglioramento genetico delle piante, in modo da selezionare varietà che garantiscano rese alte e costanti.

La semina deve avvenire ad una profondità di 2-3 centimetri, con terrenocaldo e umido. I semi impiegano una decina di giorni a germogliare e anche se non necessitano di concimazione è bene assicurare alla pianta il nutrimento necessario alla crescita. Nel giro di due anni gli arbusti entrano in produzione. Non hanno bisogno di agrofarmaci né di particolari cure.

Con un sesto di impianto fitto, pari a 5mila piante per ettaro, si possono ottenere fino a 10 tonnellate di semi, da cui si estrae il 25-40 per cento di olio (quindi tra i 2.500 e i 4mila litri).
Per sesti di impianto meno fitti, intorno alle 2mila-2.500 piante, si scende ad una produzione intorno ai 1.800 litri per ettaro. I prezzi di mercato sono, per loro natura, variabili, ma attualmente si aggirano intorno ai 7-800 euro a tonnellata.

Ricavi di tutto rispetto dunque. Ci sono però alcuni punti interrogativi sulla reale possibilità che la Jatropha venga coltivata in Italia.
Prima di tutto l'assenza di varietà selezionate per gli areali del Sud, capaci di dare dunque rese costanti in un territorio che non ha mai conosciuto questo tipo di coltivazione.

C'è poi un problema di filiera. Anche se società come la AgrOil comprano regolarmente semi di Jatropha in Africa per poi lavorarli in Italia, manca ancora un comparto strutturato che vada dalle ditte sementiere (o vivai) fino ai macchinari per la raccolta e la lavorazione dei semi.
A questo si aggiunge la questione della tossicità. L'olio di Jatropha è velenoso e dunque la raccolta e la spremitura devono essere effettuati con tutte le precauzioni del caso, per evitare di mettere in pericolo la salute degli agricoltori e la contaminazione di altre derrate.

Bisogna infine riflettere su quale modello di sviluppo agricolo si vuole perseguire.
La Jatropha è una pianta che ben si adatta a crescere in terreni marginali e dunque non deve essere necessariamente intesa come sostitutiva di altre colture.

Ma il rischio è che, nonostante la popolazione del nostro pianeta sia costantemente in crescita, gli agricoltori trovino economicamente più vantaggioso destinare i propri campi ad usi energetici piuttosto che alimentari.

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