mercoledì 31 maggio 2017

Movimento nazionale l’agricoltura: contratto agricolo, dite la vostra !

In data 30/5/17 grazie alla CIA sono stato presente come auditore alla stipula dei contratti pro. (Ba) il contratto prevende:
- operaio specializzato liv2 a 77.34€ lordi ( Trattorista,tendonista,Innestatore e resp. Aziendale) con garanzia del 10% di operai specializzati sulla forza lavoro totale aziendale.
- operaio comune livello3
51.65€ per acinellatura, tiratura serementi, defogliazione, incassettamento.
AUMENTO 3% DELLA PAGA CONTRATTUALE.
APRIAMO UNA SERIA DISCUSSIONE NEL MOVIMENTO PRIMA CHE QUESTO CONTRATTO POSSA DIVENTARE REALTÀ.

Autore: Filippo Dipinto

Fonte. Movimento Nazionale per l’agricoltura

Ismea avvia un percorso di alta formazione rivolto ai Consorzi di tutela dei prodotti DOP e IGP

Secondo gli ultimi dati Ismea, in Italia il valore dei prodotti a Indicazione Geografica raggiunge i 13,8 miliardi di euro, con un peso del 10% sul fatturato totale dell'industria agroalimentare nazionale. L'Italia, con più di 800 prodotti certificati, è in vetta alla classifica europea, seguita dalla Francia.

Il contesto competitivo in evoluzione e le opportunità che questi prodotti hanno a livello nazionale e internazionale richiedono un continuo adeguamento e rafforzamento degli operatori e delle loro strutture di coordinamento.

A questo scopo l'Ismea - Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare - nell'ambito di un progetto approvato dal MiPAAF, avvia una selezione per un programma di formazione e tutoraggio destinato a Consorzi di tutela, Associazioni di produttori di prodotti DOP e IGP - e alle imprese loro associate - sulle tematiche di maggiore interesse ai fini dello sviluppo delle produzioni a Indicazione Geografica.

Il percorso prevede un apprendimento frontale, esperienziale e di campo, su importanti tematiche, quali: strumenti e strategie di organizzazione gestionale; strategie di marketing; organizzazione di filiera; accesso ai mercati internazionali; strumenti di protezione e di enforcement; accesso ai bandi/agevolazioni europee, supportato da una scuola di Alta formazione che opererà direttamente nelle sedi dei Consorzi.

Il termine per la presentazione delle domande di partecipazione da parte dei Consorzi interessati è fissato al 30 giugno 2017.

 Clicca qui per il bando.

http://www.ismea.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/10004

Fonte: www.ismea.it


Nei campi Ue il 25% dei lavoratori sono illegali

L'Italia porta a Bruxelles il problema dello sfruttamento del lavoro in agricoltura che, nonostante la sua maggiore diffusione in alcuni paesi del Mediterraneo e nel Sud Europa, ha respiro europeo. Tanto che in Ue si stima che il 25% dei lavoratori nei campi sia illegale. E' quanto emerge dal rapporto 'Best Practices against Work Exploitation in Agriculture', realizzato dal Milan Center for Food Law and Policy in collaborazione con Coop e presentato stamane al Parlamento europeo nell'ambito del progetto 'Be Aware', sulle buone prassi contro lo sfruttamento del lavoro nell'agricoltura. Forme di lavoro illecito e sommerso, si legge nel rapporto, riguardano una "minoranza significativa" del totale dei lavoratori del settore in tutta l'Ue, soprattutto negli Stati del Mediterraneo e dell'Est europeo. In alcuni contesti, come in Romania e Portogallo, le stime parlano rispettivamente del 40 e del 60% di irregolari sul totale dei lavoratori in agricoltura. In Polonia si stima un dato superiore al 25%, in Italia si va oltre il 30%.

La legge italiana contro il caporalato, sottolinea lo studio, arriva appena cinque anni dopo un'iniziativa analoga, segnale della "necessità di disciplina di quello che è un fenomeno molto diffuso nel nostro Paese". D'altro canto in Germania e Austria, la percentuale è al di sotto del 10%. Il fenomeno è difficile da misurare, a causa dei diversi parametri che sono adottati nei diversi paesi, a partire dalle differenze nella definizione giuridica di azienda agricola. Una disomogeneità normativa che coincide con un cono d'ombra nella legislazione europea, per diventare anche barriera tecnica al commercio e fattore di distorsione della concorrenza nel mercato interno. Le differenze tra le realtà nazionali si spiegano con la diversità strutturale dei sistemi agricoli, la presenza più o meno significativa di produzioni stagionali e quella più o meno forte dell'immigrazione, il numero di aziende agricole e la loro capacità di innovare dal punto di vista dei processi tecnologici, capaci di incidere sulla quantità e la qualità della manodopera necessaria a svolgere le lavorazioni in azienda. Ma, anche, con diversi modi di considerare dal punto di vista giuridico, e misurare da quello statistico, definizioni essenziali a tracciare il quadro generale del problema come "lavoratore" o "azienda" agricola. Non è semplice individuare le vittime di lavoro informale, sommerso o gravemente sfruttato, e chi prova a occuparsi del fenomeno a livello europeo si trova davanti a una "zona grigia", non solo in riferimento alla presenza di comportamenti illegali, ma anche per la difficoltà di reperire dati omogenei. Le buone prassi tuttavia esistono, come in Italia con la Campagna "Buoni e giusti" della Coop e i progetti della Caritas, in Francia grazie alle regole sulla raccolta dell'uva o in Spagna nel settore dell'ortofrutta nella regione dell'Almeria, dove l'agricoltura funziona da strumento di integrazione di immigrati e non di emarginazione.


Fonte:Ansa.it

martedì 30 maggio 2017

Agricoltura, l’occupazione non basta se i redditi non crescono

Che anno è stato il 2016 per l’agricoltura? La fotografia diffusa dall’Istat pochi giorni fa restituisce l’immagine di un settore in sofferenza, malgrado alcuni punti di forza.
Se è vero che l’Italia resta, con oltre 30 miliardi di euro, il primo Paese nell’Ue a 28 per valore aggiunto in agricoltura, è altrettanto vero che questi numeri devono essere spalmati su un numero più elevato di aziende agricole rispetto ai principali produttori agricoli dell’Unione. E la realtà parla di un calo del valore aggiunto pari al 5,4% a prezzi correnti e allo 0,7% in volume nel corso dell’ultimo anno.
Anche i prezzi dei prodotti venduti segnano un ennesimo ribasso (-3,4%) e così pure i redditi agricoli, in flessione secca con un -8,3% (a livello europeo il calo è dello 0,4%).
 Perciò attenzione a come interpretiamo i dati. In un quadro del genere, perfino l’aumento delle unità di lavoro (+0,9%) è sintomatico: l’agricoltura riesce infatti a produrre occupazione, ma gli addetti guadagnano, in media, sempre di meno. Il fatto che un numero più ampio di agricoltori sia costretto a dividersi una torta troppo piccola non è una buona notizia.
Fino a oggi la politica, a cominciare da quella europea con la Pac, ha affrontato la questione curando più i sintomi che la malattia. Vale per i sussidi, spesso volti indennizzare gli agricoltori in difficoltà, così come per gli interventi sugli accordi di filiera tra agricoltori e industrie di trasformazione, dove i rapporti di forza sono sempre sbilanciati in favore delle seconde.
Un intervento concreto, da realizzare nel medio e lungo periodo, su tali equilibri richiederebbe innanzitutto di rendere più agevole – anche dal punto di vista burocratico – la realizzazione di laboratori di trasformazione nelle aziende agricole. Questa mossa potrebbe anche contribuire a ridurre gli eccessi produttivi e, di conseguenza, spingere i prezzi su livelli davvero remunerativi: una boccata d’ossigeno di cui i nostri agricoltori hanno disperato bisogno.

Autore: Gaetano Pascale presidente di Slow Food Italia
Fonte: La Stampa del 28 maggio 2017


Lettera aperta di Gianni Porcelli, vicedirettore confagricoltura Bari: Basta corporativismi

Nei primi giorni di Maggio, con il mio amico Walter Monari Direttore del Consorzio della Ciliegia di Vignola, abbiamo visitato una zona di produzione di ciliegie posta a sud di Barcellona nella Valle dell’Ebro. Pensavo di aver visto parecchio nel mondo, invece ho assistito a delle realtà spaventosamente avanti sotto l’aspetto delle varietà e dei sistemi colturali del ciliegio: onestamente inesistente l’attività promozionale e poco entusiasmante quella commerciale.Quali altre indicazioni ho ricavato dal viaggio in Spagna?

Ampiezza media delle aziende di ciliegio visitate 70 ettari.

Costi di manodopera pari a circa i 2/3 dei nostri.

Possiamo continuare a fare la battaglia sui prezzi e sulle quantità? Direi proprio di no!

Quattro giorni in auto con una persona conosciuta nel mondo per l’attività di promozione della ciliegia, uniti alla mia poca discrezione, mi hanno fatto assistere ad una serie di colloqui telefonici con persone che chiamavano da tutto il mondo: ero esterrefatto dalle rinunce a contratti con prezzi che a me sembravano più che accettabili. La risposta alle mie domande era “io non svendo il marchio prima che inizi la campagna”.

Come nostra abitudine, al ritorno, ci fermiamo in un ipermercato in Francia: prezzo di una ciliegia Bigarreaux allo scaffale pari a 4,5 euro al kg ed era solo il 3 Maggio. Ci siamo detti sarà “una campagna difficile”.

Torno a Bisceglie ed era da poco iniziata la campagna delle ciliegie e dopo qualche giorno prime grosse difficoltà di prezzo per la ciliegia Bigarreaux. Comincia la solita, classica guerra fra i poveri con articoli sui giornali dove i produttori accusano i commercianti di fare cartello sul prezzo, i commercianti dichiarano che il prodotto era guasto, qualcuno si inventa che la soluzione dei problemi potrebbe essere una bella promozione nei mercatini locali di vendita diretta che come è ampiamente noto riescono a toccare anche la quota del 5% del venduto rispetto alla massa prodotta.

Ogni giorno sento Walter Monari da Vignola per scambiarci dati sui prezzi e due giorni fa mi dice: “È una campagna complessa, a Vignola dal prodotto bellissimo oggi si ricavano solo 6 euro, da quello bello 5 euro e da quello non bello 2,5/3 euro”. Io sto bleffando al rialzo quando racconto dei nostri prezzi perché mi vergogno.

Ma questi di Vignola come fanno anche in una campagna difficile a spuntare dei prezzi sensibilmente più alti dei nostri?

È pura fortuna o, forse, anni di attività promozionale, di insistenza su un marchio unico territoriale servono a qualcosa?

Ho la sensazione che i prossimi giorni saranno disastrosi per le nostre ciliegie.

Una lunga premessa nella descrizione di alcuni fatti per andare a conclusioni che, probabilmente, in tanti hanno già capito.

Se la guerra ai nostri competitor non possiamo farla sulla quantità, se non possiamo farla sui costi e poi non facciamo nulla sulle politiche di valorizzazione e di promozione congiunta, allora la nostra cerasicoltura rischia seriamente di morire.

Nel 2003 abbiamo costituito il Consorzio della Ciliegia di Bisceglie con l’obiettivo di fare un semplice copia-incolla di quello di Vignola, dove quasi tutto il prodotto viene commercializzato con un unico marchio praticamente ignorando quello della cooperativa o del commerciante che lo confeziona.

Abbiamo rivoluzionato il mercato inventandoci un sistema informatizzato di aste all’olandese per tentare di intercettare la più vasta platea di acquirenti garantendo un sistema di tutela della qualità di alto livello.

Sono uscito esausto da un po’ di anni di lavoro sull’argomento ed ho concluso che, da me per primo, non siamo ancora culturalmente pronti per queste cose.

Tutti pensiamo ancora che la nostra etichetta è la migliore del mondo, molti produttori si lasciano ancora ammaliare da un centesimo in più spuntato per strada, gli operatori del mercato si lasciano convincere dalla vendita del quotidiano e rinunciano ad un progetto a più lungo termine sicuramente più faticoso, i tecnici (o presunti tali come me) preferiscono le consulenze che danno redditi immediati.

Lo dico anche agli amici del sud barese che nemmeno ci hanno provato: a mio parere non andiamo da nessuna parte!

Il progetto Consorzio della Ciliegia unico per la Puglia, il progetto del binomio prodotto-territorio, è l’unico che può salvarci, ma tutta la filiera deve dimenticare il passato e lavorare compatta ed all’unisono per il futuro.

Agli amici commercianti, ed anche a quelli del sud barese, mi permetto di dire che non basta avere la calibratrice più bella del mondo e, forse, non è nemmeno molto simpatico fare freddamente il commercio ignorando il territorio.

Non per noi stessi perché i risultati non li vedremo noi, ma per lasciare qualcosa di serio ai nostri figli e non il solito “purtroppo il sud è questo”.

Potremo lasciare delle bellissime aziende avviate, ma l’emozione per una cosa fatta per tutta la filiera e che rimanga nel tempo non ha prezzo!!

La Puglia produce il 40% delle ciliegie prodotte su scala nazionale: dobbiamo lavorare immediatamente ad un progetto a MARCHIO CILIEGIE DI PUGLIA nel quale tutti rinunciano alla nostra etichetta per uscire con un marchio unico, controllato, garantito e che racconti la storia. I commercianti, gli esportatori ne devono essere i primi promotori!!!!

Vi prego e prego tutti quanti: basta con le lamentale, basta con i personalismi, basta con i corporativismi. Lavoriamo tutti insieme senza schieramenti ed a fine di questa campagna convochiamo un incontro degli “stati maggiori della ciliegia di Puglia” nel quale confrontarsi per un uscire con un progetto condiviso.




Gianni Porcelli, presidente Consorzio Ciliegia di Bisceglie e vicedirettore Confagricoltura Bari